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Per circa quarant'anni (1763-1801) Melchiorre Cesarotti lavorò alla traduzione in versi dei "Poems of Ossian" dello scozzese James Macpherson, apparsi a stampa per la prima volta fra il 1762 e il 1763, e destinati a uno straordinario successo editoriale e di pubblico in ambito europeo. Il Cesarotti, che difese ripetutamente la tesi dell'antichità dei "Poems", attribuiti a Ossian figlio di Fingal (III secolo d.C.), volle corredare la sua traduzione di una serie imponente di apparati eruditi e interpretativi, strettamente funzionale all'acclimatazione in Italia di uno dei più celebri "falsi" di tutti i tempi. Le ragioni anche polemiche della traduzione cesarottiana, intesa allo "svecchiamento" della tradizione letteraria italiana nel nome di un "primitivo" che fa premio, in virtù del "sublime", ma anche dell'"umanità" e del "sentimento", sui modelli idolatrati degli "antichi" e soprattutto su Omero, comportano poi in effetti, anche per la qualità dei risultati, un sostanziale rinnovamento della lingua poetica italiana, con esiti di cui faranno gran conto le generazioni successive da Alfieri e Monti a Foscolo e Leopardi.